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Briganti di Maremma |
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Presentazione di Giorgio Batini: «L'ora della verità»
Prefazione di Lilio Niccolai
Editrice Giardini,
Pisa (1970)
pag. 45
[...]
i
responsabili del carcere giudiziario di Roma,
l'evasione, così com'era stata concepita e portata a
compimento, parve incredibile. Ma lo sembrò assai meno
quando si accorsero che c'era lo zampino di Fortunato
Ansuini, delinquente assai noto per la sua eccezionale
temerarietà.
I tre compagni di cella — Luciano Ceccarelli, Enrico
Vergatori e Antonio Pasquali — si erano fatti convincere
che valeva la pena affrontare i rischi dell'impresa;
che, anche a costo della vita, era necessario sottrarsi
alla crudele segregazione.
In un primo momento, il pensiero della fuga attraverso
una lurida fogna, di cui ignoravano la lunghezza e lo
sbocco, li riempì di paura: ebbero la sensazione che si
trattasse d'un'idea pazzesca. In seguito, finirono per
cedere alle continue insistenze di Ansuini a cui, del
resto, avevano sempre ubbidito fin dai primi giorni
della loro comune prigionia.
Scapparono una notte di maggio del 1886, verso le ore
antelucane. Dopo aver praticato un largo squarcio nel
pavimento della cella, in corrispondenza del punto
indicato dal rumoreggiare dei liquidi di scarico, i
quattro si avventurarono nell'ampio condotto tenebroso e
nauseabondo.
La sete di libertà li sorresse in quell'impresa
disperata; la buona sorte li favorì: l'immondo tragitto,
infatti, fu assai più breve di quanto avevano temuto. Si
trovarono ben presto sulle rive del Tevere. La notte
sbiadiva al sopraggiungere dell'alba. Bisognava che la
luce del giorno imminente non li sorprendesse in città.
Era necessario allontanarsi il più possibile per evitare
di essere acciuffati dai carabinieri, che certamente
avevano già scoperto la prigione vuota.
Si diressero verso il territorio viterbese. Ma non vi si
fermarono. La mèta era stata suggerita da Fortunato
Ansuini: la Maremma, le macchie della Maremma
grossetana.
Impiegarono alcuni giorni per raggiungere la Fiora,
confine naturale fra Toscana e Lazio. Attraversarono il
profondo letto del fiume a valle del ponte dell'Abbadia,
vicino all'acropoli di Vulci.
Alla loro destra si profilarono i cupi rilievi di
Montauto. Se ne tennero distanti, puntando alla volta di
Pescia Fiorentina, quindi di Capalbio, nei cui dintorni
selvosi stimarono di trovare sicuro rifugio.
Dai loro nascondigli sperduti in mezzo ai forteti
cominciarono a calare, come uccelli rapaci, sulla
circostante pianura già funestata dai Tiburzi, dai
Biagini e da un vasto sottobosco di oscuri furfantelli.
Le prime malefatte della « banda Ansuini » si ebbero nei
pressi di Magliano.
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