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I libri
Bambini si muore

Manciano 1866-1870

Gruppo Poligrafico Editoriale,
San Marino (1972)

In copertina: «La malaria» di Orlando Paladino Orlandini
Leningrado[oggi San Pietroburgo], Museo Russo di Stato

pag. 25

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ICOLA GUERRINI (Bracciante) — Io avevo due figli maschi, Rizieri di tre anni e Silvestro di sei mesi. La malaria, in quattro e quattr'otto, li ridusse pelle e ossa, verdi che parevano raganelle. Poi, povere creature, fra la fine di giugno e i primi di luglio, nemmeno in una settimana giusta, li portò via.
Dove abito io, nel Vicolo Remoto, quell'anno ci fu un vero e proprio massacro di bambini. Era tutto un andare e venire per la strada del cimitero. Lei, signor Laico, non ha la più pallida idea della vita che trasciniamo noi braccianti, dei tuguri in cui trascorriamo i nostri giorni. Vuol rendersene conto? Venga a trovarci, ci onori d'una visita. Ma lo faccia soltanto — dia retta a me — se non possiede il senso del ribrezzo. Sa cosa le dico? Prim'ancora delle fosse che li attendono al camposanto, quelle sono le vere tombe dei nostri figli.

FLAVIO LAICO — Ritengo proprio che non ci sia bisogno d'una visita, caro Guerrini. Ormai conosco la sua terra, e non solo questa, meglio delle mie tasche. L'inchiesta che da vario tempo conduco, mi ha portato un po' dappertutto nella Maremma tosco-laziale, dalle porte di Livorno a quelle di Roma. So bene, anzi benissimo, come vive e dove vive la gente del popolo. Un paese vale l'altro, mi creda. Le dirò — anche se questo non varrà certamente a consolarla — che Manciano non è fra le peggiori località che ho visitato. Vi sono agglomerati urbani nel Viterbese che fanno venire i brividi soltanto a risvegliarne il ricordo. In quei paesi si può dire davvero che sia colma la misura della miseria, della laidezza e del vivere ai limiti della resistenza umana.
Per quanto mi riguarda, signor Guerrini, sono qui apposta per raccogliere non solo i dati relativi alla mortalità infantile, ma anche ogni altro elemento capace di portare un valido contributo all'esatta configurazione della realtà sociale maremmana.
Spero — ripeto: spero — di poterne fare buon uso.

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