Giardini editori e Stampatori in Pisa,
Pisa (1975)
pag. 44
da L'ASSASSINIO DEL FATTORE
[...] a è più
probabile, invece, che si astenne dal consegnare la
lettera al pastore con studiata determinazione. Avrà
pensato che occasione migliore di quella — per eliminare
il bandito — non si sarebbe presentata mai più. A quale
scopo lasciarsela sfuggire? Perché impedire alle forze
dell'ordine di togliere dalla scena del brigantaggio il
più famigerato latitante, colui che teneva in soggezione
tutti i latifondisti della bassa Maremma, che imponeva
loro gravose tasse e che — sebbene lo facesse con le
buone maniere — assillava gli amministratori come lui
con continue richieste, con sempre nuove, seccanti
pretese?
Appresa la storia della lettera, anche Tiburzi non ebbe
il minimo dubbio che questa seconda ipotesi era la più
verosimile; che, anzi, rispecchiava esattamente la
realtà.
Orbene, con la mancata consegna del dispaccio, il
Gabrielli si era reso complice dei carabinieri, quindi
colpevole della morte di Biagini, dell'attentato alla
sua persona e a quella del giovane luogotenente Luciano
Fioravanti.
Quando il confidente finì di rivelargli l'episodio, Domenichino
proruppe in uno sfogo di collera, esordendo con la sua
solita imprecazione:
— Sangue della Madonna, quel verme, dunque, mi voleva
morto?... E io gli restituisco la cortesia: vado e
l'ammazzo.
Tiburzi — che i cantastorie definiscono «uomo di parola
e di cuore» — non faceva mai una promessa se non era
sicuro di mantenerla, non pronunciava mai una condanna
se non sentiva la necessità di eseguirla.
Diceva sempre che la malerba si doveva estirpare e
distruggere. E l'allusione riguardava soprattutto i
delatori, verso i quali nutriva il più profondo
disprezzo.
Il destino del fattore era perciò segnato. Il
«giustiziere» di Cèllere aveva detto morte; e morte
sarebbe stata.
— Niente pietà per chi ti ha dato prova di volerti
spedire al cimitero — raccomandava a Fioravanti, mentre
andavano a regolare i conti col Gabrielli nella fattoria
del Guglielmi. — Niente pietà, capisci? Perché se tu lo
perdonassi, prima o poi tornerebbe a colpirti
proditoriamente. Occhio per occhio: questa è la legge!
Era una splendida mattinata di un giugno ai suoi primi
albori.
La Maremma — da quelle parti — appariva come una piatta
distesa di grano maturo, punteggiata qua e là da corolle
di papaveri che somigliavano a tanti coriandoli gettati
a piene mani sopra un immenso tappeto dorato.
Rare querce si stagliavano, cupe, contro la tenue
azzurrità del cielo che, sulla linea dell'orizzonte, si
confondeva con una lunga e sottile lama di mare.
Il monotono verso del cùcùlo scandiva il tempo delle
interminabili giornate; e le cicale — giù dalle ripide
sponde alberate della Fiora — diffondevano il tremulo,
concitato concerto del loro dolce far niente.
Ascolta
il brano dal CD. Interprete: Mirio Tozzini. Chitarra: Umberto Bonini.