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I libri
Puccini in Maremma



L'uomo, l'artista, il cacciatore
nel suo lungo rapporto
con la terra degli Etruschi e dei briganti



Scipioni Editore,
Sturmundrang 5
Roma (1990)

pag. 57

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e finestre della Torre erano spalancate: per la prima volta al mondo — sono ancora parole del Marotti — quella beata solitudine, quel silenzio divino, vennero squarciati dall'armonia musicale del genio umano".
Puccini presentò ufficialmente alle persone più intime la nuova dimora orbetellana verso la fine di dicembre del 1919. Il 17 di quello stesso mese aveva infatti comunicato a Giuseppe Adami: "Dopo Natale ho intenzione di andare alla Torre di Maremma. Devo inaugurarla. Ho tutto predisposto. Verrete là?".
E dalle lettere spedite agli amici si deduce che ci si trovò subito bene; anzi, benissimo, tanto che nel febbraio del '20 scriverà al librettista della Rondine e del Tabarro: "Qui si sta benone. È magnifico, ora colla luna piena"; e anche agli inizi dell'estate vi si tratterrà alcuni giorni, informando il medesimo del suo rientro a Torre del Lago in data 9 luglio ("Di ritorno dalla Maremma trovo vostre notizie").
D'altronde per un animo romantico come il suo non poteva essere diversamente.
La vastità del mare sul quale la Torre si affacciava; il promontorio di Ansedonia che si protendeva nelle acque con la sua prominenza forse squarciata da un remoto cataclisma (lo Spacco della Regina); la spiaggia deserta e disseminata di conchiglie che si prolungava alla volta del non lontano lago di Burano; la pittoresca campagna sulla quale ogni tanto fischiava e ansimava la vaporiera, provocarono nell'illustre abitatore di quelle contrade una specie di estasi. Tanto che prese subito la penna e s'abbandonò, com'era solito fare in queste circostanze, all'entusiasmo e all'esaltazione. Informandolo dell'acquisto che aveva fatto, scrisse a Luigi Pieri: "È una torre meravigliosa in Maremma, vicina ad Orbetello, fra le rovine romane ed etrusche. È sul mare a dieci metri. C'è pesca e caccia in abbondanza. L'auto arriva dinanzi alla porta ... insomma è una vera delizia. Ci sono piselli a gennaio, non te digo (sic) altro. Clima: Montecarlo".
Ma ecco che l'incipiente senilità (il Maestro ha superato la sessantina) si allea con l'innata variabilità degli umori per accentuare il ritmo delle sue escursioni emotive.
Ha il terrore della vecchiaia e non ne fa mistero con nessuno.
Lo scriverà a Sybil Selingman. Poi a Riccardo Schnabl: "Il guaio è che invecchio e bisogna che ricorra a quel professore di Berlino, quello delle glandole; e se davvero è riuscito mi faccio rinnovare".
Il professore in questione era Eugen Steinach, che aveva raggiunto una certa notorietà per i suoi esperimenti di ringiovanimento.
Inutile dire che — combattuto da queste preoccupazioni — il compositore cambiò presto idea sulle peculiarità tutte positive della sua torre maremmana (salvo a ripensarci, come vedremo).
E cominciò a lamentarsene con la cantante Gilda Dalla Rizza non più tardi di un paio di mesi dalle mirabilie raccontate al Pieri: "È luogo per l'inverno e per la caccia. Si sta bene, ma è terribilmente solitario e viene la malinconia".
E pensare che poco prima aveva scritto anche a Giuseppe Adami (firmerà con Simoni il Libretto di Turandot) in questi termini: "Dite a Simoni che lo aspetto alla Torre della Tagliata. Verrete insieme a godere degli incanti della nostra Grecia antica. Vedrete una località che vi farà strabiliare. Ci sarà tutto per voi due! Vi troverete il bordeaux del 1904, l'uva di Lecce. Anche il tabacco del Brasile e le sigarette di Abdullah. Barche, canotti, automobili, motocicli, ogni ordigno per pescare, ogni tranello per la caccia...".
Ma leggiamo le due lettere che seguono — entrambe vergate nel dicembre del 1920, una il giorno tre da Torre del Lago, l'altra il giorno venti dalla Torre della Tagliata

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