Nella storia e nei versi
dei cantastorie
Il ribellismo sociale in Maremma
e altrove, dalla Romagna
al Lazio meridionale
Scipioni,
Roma (1991)
In copertina disegno di: Dino Petri
pag. 13
[...]
età che ormai ci vede oltre la soglia dei
sessanta, permette alla nostra memoria di testimoniare
come nel Grossetano e nel Viterbese, terre di antiche
leggende e di truculente storie brigantesche, il canto
popolare fosse una consuetudine e un bisogno
insopprimibili, al pari del riposare, del vestirsi,
dell'alimentarsi.
[…] E nel nostro ricordo è rimasta nitidissima l'immagine
dell'immancabile improvvisatore d'ottave — uno era
soprannominato "Pene" (Arturo Legaluppi?) e cominciava
sempre i suoi canti con "Apollo disse..." — che al levar
delle rustiche mense sotto la quercia ombrosa dell'aia
intonava a richiesta generale i suoi estemporanei parti
poetici o quelli di dimenticati autori, come la storia di
Pia de' Tolomei che così esordiva nella sua melanconica
modulazione musicale: "Nell'anni che di Guelfi e
Ghibellini/ repubblica a que' tempi costumava...".
Il breve intermezzo canoro fra il desinare e la ripresa
delle faccende comprendeva sempre — era inevitabile —
qualche riferimento ai briganti. Inevitabile sia perché
molti di quei contadini erano nati nell'arco di tempo
(1870-1900) in cui il brigantaggio maremmano aveva fatto
registrare una forte recrudescenza a causa dei
provvedimenti impopolari adottati dal governo italiano,
sia perché le gesta dei vari Tiburzi, Fioravanti, Ansuini,
Menichetti, di cui qualcuno aveva addirittura visto i
cadaveri davanti ai cancelli dei cimiteri, continuavano in
quegli anni ad essere "illustrate" nelle fiere di paese
dai cantastorie girovaghi, fra i quali si distingueva un
non meglio identificato "Ciechino" che veniva di lontano e
che poi — secondo quanto ci ha riferito Enzo Tosoni,
anch'egli appassionato di poesia estemporanea — si stabilì
definitivamente a Manciano.
Il ricordo dei briganti era dunque piuttosto vivo e
palpitante. E le canzoni che riguardavano le loro feroci
imprese andavano letteralmente a ruba, anche per il fatto
che l'abitudine della gente a cantare in qualsiasi
circostanza della vita rurale induceva molti all'acquisto
di quelle "cronache nere" raccontate in ottava rima. Le
quali, se nei primi anni del nostro secolo trovarono in
Maremma (e in altre regioni) discreta diffusione (quelle
di Tiburzi e Fioravanti furono rispettivamente pubblicate
nel 1903 e nel 1908), successivamente ebbero ancor
maggiori fortune di mercato (quella di Ansuini e
Menichetti venne stampata nel 1925) grazie al progredire
della scolarizzazione che sottrasse alle tenebre
dell'analfabetismo un buon numero di campagnoli residenti
nei centri abitati, a cui veniva offerta la possibilità di
frequentare le scuole.
Non c'è dubbio che anche questo tipo di "ballate", di cui
pubblichiamo una scelta, ha contribuito a mantenere vivo
l'interesse delle classi rurali e bracciantili per la
poesia estemporanea. Che è tuttora in auge, forse più di
quanto non si creda, in molte regioni italiane, con
particolare riguardo alla Toscana, al Lazio e all'Abruzzo,
dove Giuseppe Moroni detto il "Niccheri", Giuseppe Berneri
(autore del Meo Patacca) e il pastore Agostino
Annibaldi di Poggio Cancelli contano numerosi e agguerriti
seguaci.
[…]Nel Viterbese, […] i protagonisti del canto popolare in
ottava rima, della poesia "a braccio" o del "cantare da
poeta" (così è definita in quel territorio l'arte
dell'improvvisar versi) non solo sono stati e sono molti
ancor oggi, ma la loro attitudine — perché di attitudine
soprattutto si tratta — viene incoraggiata dalle
istituzioni e fatta oggetto di ricerche e di studi, poi
raccolti in pubblicazioni che ne perpetuano la
testimonianza e il significato culturale.
Non altrettanto accade nella vicina Toscana, in Maremma,
dove pure non mancano, anche se certamente in numero di
gran lunga minore, gli emuli di quei verseggiatori
estemporanei (il Picconi, il Ciolfi, il Fastelli, il
Canzonetti, il Passalacqua, il Bargagli, autore di
"bruscelli" negli Anni Venti) che dalle nostre parti hanno
caratterizzato un'epoca con la loro verve canora; e che
forse hanno avuto uno dei loro più convincenti
continuatori nel "vate" campagnolo Tribuno Tonini,
recentemente scomparso, figlio di uno dei paesi più fuori
del tempo che la Toscana conosca: Rocchette di Fazio.
Varrà la pena, prima o poi, spingere l'occhio della
ricerca sistematica anche in questo settore dei
comportamenti antropologici maremmani (di Grosseto e
provincia) che ci sembra fin qui trascurato, se non
dimenticato, e che non si presenta avaro di promesse.
Vogliamo dire nel settore della poesia estemporanea,
dell'improvvisazione poetica, dell'ottava rima cantata "a
braccio". Perché se si dovesse parlare di poesia popolare
in senso lato, allora non bisognerebbe dimenticare, fra
coloro che vi si dedicano o vi si sono dedicati, un
contadino-poeta (o poeta contadino?) che dal poggio
dell'etrusca Roselle ha diffuso, non solo in Maremma,
versi acuti, mordaci, satireggiando e ironizzando sulle
storture della società, del mondo, e sulla condizione
umana di chi, in questo breve passaggio terreno, ha avuto
la sfortuna di essere annoverato fra gli umili: Morbello
Vergari.
Non citeremo, dunque, alcun nome di coloro che nelle valli
dell'Albegna e dell'Ombrone producono ancora per diletto
endecasillabi e strofe alla maniera antica, perché non
vogliamo correre il rischio di escludere — non si sa mai —
qualche redivivo "Niccheri". Il che sarebbe ingiusto.
E mentre attendiamo che Giovanni Kezich (del proposito di
farlo ebbe a informarci qualche tempo fa) estenda il suo
interesse anche al "canto da poeta" dell'area grossetana
in cui il ribellismo sociale dell'Ottocento scrisse le
pagine più intense e truci, offriamo all'attenzione dei
lettori alcune "ballate" brigantesche, i cui versi
risuonarono per decenni, prima dell'ultimo conflitto
mondiale, nelle campagne della Toscana, del Lazio,
dell'Abruzzo, dell'Umbria, della Romagna, delle Marche; e
che, in qualche caso, moderni interpreti del canto
popolare (Francesco Guccini, Dodi Moscati, Mirella del
complesso "Aurora", Mauro Chechi, etc.) hanno riesumato
per far rivivere atmosfere e sensazioni di tempi ormai
lontani.
Per la loro migliore comprensione, abbiamo fatto precedere
queste "storie" dal racconto delle vicende determinate e
vissute 'ai singoli protagonisti; e ci siamo premurati di
annotarle per renderle più chiare e trasparenti, specie là
dove si citano genericamente persone, luoghi, eventi, che
sarebbero rimasti altrimenti incomprensibili: come
riteniamo che sia avvenuto per la maggior parte di coloro
che hanno acriticamente dato voce, in ogni tempo, ai versi
dei rispettivi cantastorie.
Più che la storia, infatti, gli autori delle "ballate"
hanno divulgato la leggenda; più che i misfatti, il
clamore spesso ingigantito che suscitavano.
Ed è proprio questo, forse, l'aspetto più discutibile del
loro lavoro, al quale abbiamo cercato di ovviare (tranne
nei casi di assoluta impossibilità) commentando ogni
episodio sulla base dei dati oggettivi e dei documenti
d'archivio a nostra disposizione, non di rado frutto di
annose ricerche.
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