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una "razza" di maremmani? A scorrere la dotta
e esauriente ricostruzione storica di Alfio
Cavoli si dovrebbe concludere che forse
nessuna terra del nostro Paese sia stata tanto
spesso meta di migrazioni, tanto spesso quanto
la Maremma. Vennero coloni di Siena e della
Corsica, dalla Romagna e dalla Liguria, ebrei,
lorenesi, albanesi e napoletani. Vennero
masnadieri e malfattori, antichi "energumeni"
e più moderni briganti. La terra dura, la vita
più difficile che altrove, rese questa gente
attrezzata a fronteggiare le febbri della
malaria e il lavoro che spezza le ossa.
Segaligni e robusti, semplici e diretti,
anarchici e ribelli nel senso più vero delle
parole.
È bello seguire attraverso i 23 inserti che Il
Tirreno regala ai suoi lettori la storia di
come si formarono le comunità maremmane, del
loro evolversi nei secoli, fra il tufo dove
gli etruschi scolpivano le loro sepolture.
Fino alle coste sabbiose della Feniglia o agli
scogli dell'Argentario. Paludi e febbri,
estati calde di un sole spietato, rigidi
inverni per i pastori arrivati da ogni parte.
Io ci ho ritrovato la Maremma dei racconti
dell'infanzia. Quelli che mio padre mi faceva
attribuendo a suoi antenati grandi gesta di
coraggio e determinazione.
Spaventavano i briganti di Maremma, ma solo
fino a un certo punto, se fu vero che la
bisnonna ne scoprì e cacciò uno di sotto il
letto. Spaventava la zanzara, quella sì, anche
se ormai i tempi erano cambiati e l'aria s'era
fatta più salubre. E come me, ognuno ci
troverà la sua Maremma, il cognome conosciuto,
e da quello la via che gli antenati avevano
percorso per arrivare fin qua. Terra amara
solo nel ricordo dei più anziani, terra ricca
di radici e tramonti per tutti gli altri.
Sandra Bonsanti
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