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I libri
I saccomanni del mare


Storie mediterranee di pirateria barbaresca
con episodi accaduti sulle coste tirreniche,
dalla Maremma alla Versilia


Aldo Sara Editore,
Collana "Le Antiche Dogane" n° 3
Roma (2002)

pag. 17


I PIRATI DEL MEDITERRANEO"

esercizio della pirateria affonda le sue radici nella notte dei tempi. Si può dire che ha inizio quando l’uomo, costruite imbarcazioni che gli danno affidamento, affronta i pericoli del mare per intrattenere relazioni commerciali con i paesi da cui è circondato.
Lo storico greco Tucidide (460-400 circa a.C.) ci riferisce, appunto, che i suoi antichi connazionali costieri della terraferma e delle isole si dedicano alla pirateria allorché i loro rapporti mercantili si fanno più intensi. E a guidare le navi sono personaggi potenti che aggrediscono e saccheggiano i villaggi litoranei per garantirsi il maggiore arricchimento possibile e per dare sostentamento ai più deboli.
Tucidide ci informa altresì che praticare a quei tempi la pirateria non costituisce un fatto vergognoso; anzi, per certi versi, conferisce onore. Basti pensare che alcune popolazioni del continente si gloriano di essere, in quel campo, maestre senza rivali.
Il fenomeno finisce con l’assumere proporzioni così rilevanti da esigere un freno. Ed è Minosse, il mitico re di Creta, ad allestire una flotta per liberare l’Egeo dai pirati e consentire il tranquillo trasporto dei tributi alla sua isola.
Nel secondo millennio a.C. la pirateria è in auge fra gli abitanti dell’Anatolia meridionale e con loro gareggiano i Fenici.
Da Omero si apprende che i prìncipi greci pirateggiano abitualmente e che i troiani mantengono il loro esercito soprattutto con le ricchezze procurate dai pirati, i quali si spingono fino alla Siria.
Nel VII-VI secolo a.C. Corinto ed altre città greche in cui fervono le attività industriali e commerciali creano flotte da guerra per proteggere le loro navi impegnate nei traffici marittimi. Ma riescono soltanto a mitigare la pirateria, che continua ad essere esercitata con grande spiegamento di mezzi navali specialmente da Policrate, il tiranno di Samo, vissuto fino al 520 a.C. Egli munisce la sua isola di una grande flotta, grazie alla quale conquista diverse isole vicine, creando, nelle Cicladi, un piccolo impero. Con la pratica della pirateria accumula enormi ricchezze che gli permettono di compiere opere pubbliche importanti, di avere una corte principesca e di dedicarsi al mecenatismo. Fra i suoi protetti ci sono poeti come Anacreonte, nato e Teo, nella Jonia, verso il 570 a.C., e scultori come Teodoro, una gloria dell’isola.
Nel V secolo a.C. l’impero ateniese riesce e infliggere un duro colpo alla pirateria che, nell’Egeo, viene addirittura debellata. Tuttavia, nel secolo successivo, dopo la morte di Alessandro Magno, re di Macedonia, avvenuta nel 323 a.C., e durante le lotte fra i diadochi, i prìncipi che ereditano l’impero, essa rifiorisce e si diffonde nel Mediterraneo orientale nonostante che le flotte di Rodi e dei Tolomei (la dinastia macedone che regnerà in età ellenistica sull’Egitto dal 323 al 30 a.C) compiano un costante pattugliamento per intercettare le navi dei pirati provenienti, in modo particolare, dalle basi di Creta e delle coste meridionali dell’Asia Minore.
Anche nel Mediterraneo occidentale la pirateria assume aspetti preoccupanti ed ha le sue basi alle Baleari, in Liguria e in Illiria dove quelle popolazioni la esercitano da tempi remoti. Se si aggiungono, poi, i pirati etruschi, greci e cartaginesi, il quadro si fa davvero inquietante.
Gli Etruschi sono audacissimi e si spingono spesso a depredare le località costiere della Grecia i cui abitanti, i siracusani in primo luogo, sono costretti a sostenere dure lotte per contenere la loro invadenza. Molte delle azioni di predoneria etrusca non sono altro che forme di compensazione a situazioni di crisi socio-politica, come nell’Etruria tirrenica, o di crisi economica, come a Spina.
Fonti letterarie citano perfino il nome di un pirata etrusco. Si tratta di Postumio, che secondo Diodoro Siculo (storico greco, nato ad Agirio, in Sicilia, verso l’80 a.C.) si mette a disposizione di Timoleonte di Siracusa giungendo nel 339 a.C. con dodici navi corsare nel porto della città siciliota. Di lui, probabilmente originario di Caere (Cerveteri) o di qualche località marittima delle Campania, si sa soltanto che viene ucciso dal tiranno siracusano.
Nel IV secolo a.C. è Roma, con le sue colonie e con le navi degli alleati, che assume la difesa delle coste italiane. E per quasi due secoli dovrà penare, specie nell’Adriatico, per dare la caccia ai pirati illirici che infestano quel mare, nonostante le misure di repressione adottate da Atene e da Siracusa.
Bisognerà attendere la guerra condotta da Augusto sulle coste dell’Adriatico settentrionale nel 35-34 a.C. per vedere qualche risultato positivo.
Quasi scomparsa nei primi secoli dell’età imperiale grazie all’assidua vigilanza sul mare delle grandi flotte romane, la pirateria prende nuovo vigore intorno al 250. A darle un forte impulso sono i Goti e, nel V secolo, i Vandali che, saccheggiate Palermo e Roma, infliggono sconfitte disastrose alle flotte bizantine incaricate di stroncare la loro attività. Li sbaraglierà Belisario nel 534, dopo aver sconfitto i Persiani e riconquistato all’Impero d’Oriente l’Africa settentrionale.
Nei secoli successivi imperverseranno nel Mar Tirreno i pirati saraceni, della cui attività di predoni subiranno le conseguenze numerosi centri etruschi della costa e dell’immediato entroterra. Fra le città da essi distrutte, gli storici annoverano Vulci, Saturnia, Populonia e Roselle. Da quest’ultima località, nel IX secolo, i conti Aldobrandeschi saranno costretti e sloggiare a causa delle continue incursioni e sceglieranno Sovana come capitale del loro vastissimo feudo.
I saraceni compiono le loro scorribande su tutto il Mediterraneo partendo dalle loro basi situate a Fréjus, cittadina della Francia sud-orientale, e alle foci del Garigliano, il fiume che nell’ultimo tratto del suo percorso segna il confine fra il Lazio e la Campania.
Ma la pirateria di cui noi ci occupiamo nelle pagine che seguono, e che costituisce una vera calamità per i centri costieri di tutto il Mediterraneo con particolare accanimento su quelli della Maremma, raggiunge l’apice nel XVI secolo allorché nei territori dell’Africa settentrionale, sotto la protezione dell’Impero Ottomano, si formano gli Stati Barbareschi che, abitati da genti berbere, comprendono le reggenze di Algeri, di Tunisi, di Tripoli e del Marocco. Alla loro costituzione provvedono famosi pirati, di cui tracceremo brevemente la storia, i quali, con l’aiuto del Sultano di Costantinopoli, riescono ad eliminare il dominio delle potenze occidentali dal Maghreb.
I più famosi di questi avventurieri sono i fratelli Arug (Oruccio) e Khair-ed-Din (Ariadeno), entrambi soprannominati Barbarossa per il colore dell’onor del mento, nonché Dragut e uno stuolo di loro luogotenenti che in varie occasioni hanno incarichi importanti sia nel comando della flotta, sia nel governo delle città assoggettate.
La pirateria barbaresca, che durerà con decrescente intensità fino al secolo XIX, avrà un forte rilancio nel 1532, quando il cristianissimo re di Francia, Francesco I, stringerà un patto di alleanza con Solimano il Magnifico, nell’intento di contrastare l’egemonia di Carlo V, re di Spagna.
Dalle vicende di Khair-ed-Din e dei suoi seguaci emergeranno anche i momenti più significativi di questa storica rivalità.