I PIRATI DEL MEDITERRANEO"
esercizio
della pirateria affonda le sue radici nella notte dei
tempi. Si può dire che ha inizio quando l’uomo,
costruite imbarcazioni che gli danno affidamento,
affronta i pericoli del mare per intrattenere relazioni
commerciali con i paesi da cui è circondato.
Lo storico greco Tucidide (460-400 circa a.C.) ci
riferisce, appunto, che i suoi antichi connazionali
costieri della terraferma e delle isole si dedicano alla
pirateria allorché i loro rapporti mercantili si fanno
più intensi. E a guidare le navi sono personaggi potenti
che aggrediscono e saccheggiano i villaggi litoranei per
garantirsi il maggiore arricchimento possibile e per
dare sostentamento ai più deboli.
Tucidide ci informa altresì che praticare a quei tempi
la pirateria non costituisce un fatto vergognoso; anzi,
per certi versi, conferisce onore. Basti pensare che
alcune popolazioni del continente si gloriano di essere,
in quel campo, maestre senza rivali.
Il fenomeno finisce con l’assumere proporzioni così
rilevanti da esigere un freno. Ed è Minosse, il mitico
re di Creta, ad allestire una flotta per liberare l’Egeo
dai pirati e consentire il tranquillo trasporto dei
tributi alla sua isola.
Nel secondo millennio a.C. la pirateria è in auge fra
gli abitanti dell’Anatolia meridionale e con loro
gareggiano i Fenici.
Da Omero si apprende che i prìncipi greci pirateggiano
abitualmente e che i troiani mantengono il loro esercito
soprattutto con le ricchezze procurate dai pirati, i
quali si spingono fino alla Siria.
Nel VII-VI secolo a.C. Corinto ed altre città greche in
cui fervono le attività industriali e commerciali creano
flotte da guerra per proteggere le loro navi impegnate
nei traffici marittimi. Ma riescono soltanto a mitigare
la pirateria, che continua ad essere esercitata con
grande spiegamento di mezzi navali specialmente da
Policrate, il tiranno di Samo, vissuto fino al 520 a.C.
Egli munisce la sua isola di una grande flotta, grazie
alla quale conquista diverse isole vicine, creando,
nelle Cicladi, un piccolo impero. Con la pratica della
pirateria accumula enormi ricchezze che gli permettono
di compiere opere pubbliche importanti, di avere una
corte principesca e di dedicarsi al mecenatismo. Fra i
suoi protetti ci sono poeti come Anacreonte, nato e Teo,
nella Jonia, verso il 570 a.C., e scultori come Teodoro,
una gloria dell’isola.
Nel V secolo a.C. l’impero ateniese riesce e infliggere
un duro colpo alla pirateria che, nell’Egeo, viene
addirittura debellata. Tuttavia, nel secolo successivo,
dopo la morte di Alessandro Magno, re di Macedonia,
avvenuta nel 323 a.C., e durante le lotte fra i
diadochi, i prìncipi che ereditano l’impero, essa
rifiorisce e si diffonde nel Mediterraneo orientale
nonostante che le flotte di Rodi e dei Tolomei (la
dinastia macedone che regnerà in età ellenistica
sull’Egitto dal 323 al 30 a.C) compiano un costante
pattugliamento per intercettare le navi dei pirati
provenienti, in modo particolare, dalle basi di Creta e
delle coste meridionali dell’Asia Minore.
Anche nel Mediterraneo occidentale la pirateria assume
aspetti preoccupanti ed ha le sue basi alle Baleari, in
Liguria e in Illiria dove quelle popolazioni la
esercitano da tempi remoti. Se si aggiungono, poi, i
pirati etruschi, greci e cartaginesi, il quadro si fa
davvero inquietante.
Gli Etruschi sono audacissimi e si spingono spesso a
depredare le località costiere della Grecia i cui
abitanti, i siracusani in primo luogo, sono costretti a
sostenere dure lotte per contenere la loro invadenza.
Molte delle azioni di predoneria etrusca non sono altro
che forme di compensazione a situazioni di crisi
socio-politica, come nell’Etruria tirrenica, o di crisi
economica, come a Spina.
Fonti letterarie citano perfino il nome di un pirata
etrusco. Si tratta di Postumio, che secondo Diodoro
Siculo (storico greco, nato ad Agirio, in Sicilia, verso
l’80 a.C.) si mette a disposizione di Timoleonte di
Siracusa giungendo nel 339 a.C. con dodici navi corsare
nel porto della città siciliota. Di lui, probabilmente
originario di Caere (Cerveteri) o di qualche località
marittima delle Campania, si sa soltanto che viene
ucciso dal tiranno siracusano.
Nel IV secolo a.C. è Roma, con le sue colonie e con le
navi degli alleati, che assume la difesa delle coste
italiane. E per quasi due secoli dovrà penare, specie
nell’Adriatico, per dare la caccia ai pirati illirici
che infestano quel mare, nonostante le misure di
repressione adottate da Atene e da Siracusa.
Bisognerà attendere la guerra condotta da Augusto sulle
coste dell’Adriatico settentrionale nel 35-34 a.C. per
vedere qualche risultato positivo.
Quasi scomparsa nei primi secoli dell’età imperiale
grazie all’assidua vigilanza sul mare delle grandi
flotte romane, la pirateria prende nuovo vigore intorno
al 250. A darle un forte impulso sono i Goti e, nel V
secolo, i Vandali che, saccheggiate Palermo e Roma,
infliggono sconfitte disastrose alle flotte bizantine
incaricate di stroncare la loro attività. Li sbaraglierà
Belisario nel 534, dopo aver sconfitto i Persiani e
riconquistato all’Impero d’Oriente l’Africa
settentrionale.
Nei secoli successivi imperverseranno nel Mar Tirreno i
pirati saraceni, della cui attività di predoni subiranno
le conseguenze numerosi centri etruschi della costa e
dell’immediato entroterra. Fra le città da essi
distrutte, gli storici annoverano Vulci, Saturnia,
Populonia e Roselle. Da quest’ultima località, nel IX
secolo, i conti Aldobrandeschi saranno costretti e
sloggiare a causa delle continue incursioni e
sceglieranno Sovana come capitale del loro vastissimo
feudo.
I saraceni compiono le loro scorribande su tutto il
Mediterraneo partendo dalle loro basi situate a Fréjus,
cittadina della Francia sud-orientale, e alle foci del
Garigliano, il fiume che nell’ultimo tratto del suo
percorso segna il confine fra il Lazio e la Campania.
Ma la pirateria di cui noi ci occupiamo nelle pagine che
seguono, e che costituisce una vera calamità per i
centri costieri di tutto il Mediterraneo con particolare
accanimento su quelli della Maremma, raggiunge l’apice
nel XVI secolo allorché nei territori dell’Africa
settentrionale, sotto la protezione dell’Impero
Ottomano, si formano gli Stati Barbareschi che, abitati
da genti berbere, comprendono le reggenze di Algeri, di
Tunisi, di Tripoli e del Marocco. Alla loro costituzione
provvedono famosi pirati, di cui tracceremo brevemente
la storia, i quali, con l’aiuto del Sultano di
Costantinopoli, riescono ad eliminare il dominio delle
potenze occidentali dal Maghreb.
I più famosi di questi avventurieri sono i fratelli Arug
(Oruccio) e Khair-ed-Din (Ariadeno),
entrambi soprannominati Barbarossa per il colore
dell’onor del mento, nonché Dragut e uno stuolo di loro
luogotenenti che in varie occasioni hanno incarichi
importanti sia nel comando della flotta, sia nel governo
delle città assoggettate.
La pirateria barbaresca, che durerà con decrescente
intensità fino al secolo XIX, avrà un forte rilancio nel
1532, quando il cristianissimo re di Francia, Francesco
I, stringerà un patto di alleanza con Solimano il
Magnifico, nell’intento di contrastare l’egemonia di
Carlo V, re di Spagna.
Dalle vicende di Khair-ed-Din e dei suoi seguaci
emergeranno anche i momenti più significativi di questa
storica rivalità.