Storia di Luciano Bonaparte
Principe di Canino
Stampa Alternativa,
Strade bianche della scrittura 20
Viterbo (2007)
In copertina: François-Xavier Fabre, «Luciano
Bonaparte» (olio su tela, Museo Napoleonico, Roma)
pag. 76
[...]
uciano
era lì che continuava a limare le rime del suo Charlemagne,
leggendole poi agli amici che anche a Frascati andavano a
trovarlo, come l'abate letterato Charpentier, il prelato
Giuseppe Albani, che sarà segretario di Stato con Pio VII;
il cardinale Lorenzo Litta, prefetto della Congregazione
dell'Indice, tesoriere degli Stati della Chiesa,
fedelissimo di Pio VII anche durante le persecuzioni
napoleoniche. Ma salivano al colle anche i cardinali
Rezonico, Della Somaglia, lo stesso Consalvi, per
intrattenersi con gli altri ospiti in dotte conversazioni,
alle quali partecipavano il pittore Adrien-Charles de
Chàtillon, persona di casa, il de France – precettore del
piccolo Carlo Luciano – e la colta Madame Campan,
istitutrice di Lolotte, ormai diventata una
deliziosa ragazza.
Sovente, Luciano soleva scendere a Roma per visitare i
monumenti della città. Gl'interessavano soprattutto i più
antichi luoghi di culto, le cui atmosfere avvolgevano le
testimonianze lasciate dai primi cristiani. Un giorno del
1807, nelle catacombe di San Sebastiano dell'omonima
basilica sulla Via Appia, era intento ad osservare le
immagini dei banchetti funebri che decorano esternamente
il mausoleo di Marcus Clodius Hermes, risalenti al II
secolo, quando gli s'avvicinò un fraticello e, col
pretesto di avere un giudizio su quei dipinti, attaccò
discorso. Di parola in parola, finirono col declinare le
loro generalità. Nacque così, da un'esclamazione di
meraviglia del religioso nel sapere chi fosse il suo
interlocutore e da una stretta di mano fra i due, un
profondo rapporto d'amicizia e di collaborazione destinato
a durare per sempre.
Il monaco aveva ventinove anni e si chiamava padre
Maurizio da Brescia, al secolo Fortunato Antonio
Malvestiti. Nato il 17 febbraio 1778 a Verolanuova, nel
Bresciano, era figlio di un sarto, Francesco, e di Maria
Maddalena Franchi. A Quinzano d'Oglio, dove la famiglia si
era trasferita nel 1783, il ragazzo aveva appreso i primi
rudimenti scolastici sotto la guida dei sacerdoti Pietro
Pederzini e Luigi Piozzi. Frequentato poi il ginnasio a
Brescia, era entrato nel locale convento francescano di
San Giuseppe, per trasferirsi nel 1798 in quello di
Ferrara, seguirvi i corsi di teologia e celebrarvi la
prima Messa la notte di Natale del 1800. L'anno
successivo, ricevuta l’”obbedienza” nel monastero di San
Bernardino a Verona, era stato destinato al convento dell'Ara
Coeli di Roma, del quale era divenuto lettore di
filosofia e teologia.
Il casuale incontro con Luciano cambiò completamente il
cammino che padre Maurizio da Brescia aveva intrapreso.
Legato in maniera indissolubile al destino del Bonaparte,
da quel momento ne sarà il cappellano, l'istitutore dei
figli, l'accompagnatore nei frequenti viaggi che compirà
come sorvegliato politico, il traduttore, l'aiutante negli
scavi archeologici e nella pubblicazione dei loro
risultati. Che l'incontro fortuito di Luciano fosse
avvenuto nelle catacombe di San Sebastiano è narrato nell'Enciclopédia
Bresciana di Antonio Fappani; ma sembra invece che
il religioso avesse vincoli di parentela con la famiglia
di Felice Pasquale Baciocchi, marito di Elisa Bonaparte,
in quel momento principessa di Lucca e di Piombino; e che
fosse entrato nelle grazie del fratello dell'imperatore in
virtù di una raccomandazione del senatore romano
Rezzonico.
A proposito della sua passione per l'antichità, gli
storici moderni ritengono che Luciano cominciò ad
avvertirla in maniera profonda proprio alla Rufinella,
essendosi convinto – dopo averne studiato la storia e
attentamente ispezionato i dintorni – che la sua villa
s'identificasse col Tusculanum di Cicerone, come
aveva ritenuto nel Settecento il gesuita Giovanni Luca
Zuzzeri, indotto a farlo dal ritrovamento di un mattone
con la scritta M. TULI (Marcus Tullius?).
Era entusiasta, felice, per il privilegio che gli era
capitato di poter calcare nella sua proprietà lo stesso
suolo su cui s'era mosso il grande oratore romano.
Secondo un diario di viaggio manoscritto, attribuito ad un
suo giovane segretario – e pubblicato a Roma da H. Vallet
nel 1986 sotto il titolo Les «Voyages en Italie»
(1804). Journal d'un compagnon d'exil de Lucien
Bonaparte – uscendo dal cancello situato nella parte
più alta della Rufinella e dirigendosi a destra si
arrivava in un luogo cosparso di ruderi che la gente del
posto chiamava le Scole di Cicerone, con
riferimento alla sua accademia. Si trattava di strati
imponenti di mattoni posti l'uno sull'altro lungo le
pendici di un colle che dominava una vasta pianura, chiusa
lontano da una catena di monti. Fra quelle rovine, che si
raggiungevano in breve tempo passando davanti ad una sorta
di circo, evidentemente ciò che restava di un teatro
romano, era stata trovata una testa di Minerva, oltre ad
alcuni mattoni con impressi i nomi di Silla e di Cicerone.
Questi indizi, molto eloquenti, erano bastati ad insinuare
nella mente di Luciano la certezza che l'identificazione
dei luoghi in cui sorgeva la sua villa con quelli
appartenuti all'oratore latino non era infondata. Da qui
il desiderio di intraprendere una serie di scavi per
suffragare i suoi convincimenti con la scoperta di prove
inconfutabili.
E fu tale la frenesia con cui si pose al lavoro, da
abbandonare «totalement», come scrive nei suoi Mémoires,
il poema Charlemagne, alla cui composizione
appassionatamente attendeva.
[...]
|