
orenzo Adolfo Denci nacque a Pitigliano da Giovanni
e da Emilia Belli, il 17 Giugno 1881. Primo di
cinque fratelli a ventiquattro anni, nel 1905, vinse
come fotografo la medaglia d’oro all’Esposizione
Universale di Berlino e sposò l’agiata concittadina
Ester Orlandi che lo rese padre dell’unica figlia,
Annunziata, detta “Nunziatina” . Rimasto vedovo, l’8
Gennaio del 1912, convolò a nuove nozze con
l’ostetrica Giuseppina Mangiò che rimase al suo
fianco per tutta la vita.
Il prestigioso successo ottenuto in Germania lo
galvanizzò. Il suo interesse per la fotografia
divenne quasi morboso. A detta di chi lo conobbe,
non aveva tregua. Era sempre in cerca di ambienti e
di paesaggi da immortalare. Nel 1911, andò di luogo
in luogo nelle valli del Fiora e dell’Albegna per
fornire a Carlo Alberto Nicolosi trentacinque
immagini che il brillante divulgatore pubblicò nel
volume “La montagna Maremmana”, edito dall’Istituto
d’Arti Grafiche di Bergamo nella collana “Italia
Artistica” diretta da Corrado Ricci. Ma
l’inaspettata affermazione berlinese gli fece
soprattutto meritare la stima del direttore
didattico Evandro Baldini e del veterinario Gian Ugo
Boscaglia. Entrambi, oltre al lavoro professionale,
si dedicavano con grande zelo allo studio della
storia, dell’archeologia, dell’arte, della
letteratura, delle scienze. Scrivevano libri ed
articoli giornalistici; e gli chiedevano immagini
appropriate per illustrarli. Nacque così, fra
Lorenzo Adolfo Denci e i due intellettuali, una
collaborazione assidua che con il trascorrere del
tempo si trasformò in amicizia profonda.
Significativi, a questo riguardo, gli articoli che
negli anni Venti apparvero su le “Vie d’Italia”:
Boscaglia li redigeva, Baldini e Denci li
corredavano di disegno e foto. Erano i tre
personaggi che davano impulso e consistenza alla
vita culturale del paese; in modo particolare
Evandro Baldini, che nella scuola sfornava in
continuazione progetti educativi sperimentali,
imperniati ora sul disegno e sulla plastica, ora
sull’imbalsamazione degli animali, ora sulla
fotografia. Denci, che si intendeva anche di musica
e suonava discretamente il violino, partecipava alle
iniziative scolastiche dell’intraprendente
direttore, sia come apprendista, sia come fotografo
incaricato di documentare le attività. Insomma
“Adolfino”, così lo chiamavano affettuosamente gli
amici, perché piccolo di statura, era un operatore
culturale a tutti gli effetti. Tanto che l’impegno
prodigato nel contribuire all’attività creativa di
Baldini e Boscaglia finì per ampliare il suo
bagaglio culturale e per consentirgli di
perfezionare la sua tecnica fotografica, grazie alle
frequenti prestazioni professionali che gli venivano
richieste.
Durante il fascismo, lui che fascista non era, si
giovò della protettiva amicizia di Evandro Baldini,
convinto sostenitore del regime per sbarcare il
lunario. E il lavoro non gli mancò mai, non solo a
Pitigliano, ma anche nei paesi limitrofi, dove
spesso era necessario documentare il consenso
popolare all’attivismo delle gerarchie mussoliniane
nel campo delle opere pubbliche, della cultura,
dell’arte e specialmente dello sport, esibito nei
saggi atletico-ginnici che tante folle plaudenti
richiamavano nei luoghi in cui si svolgevano.
All’ultimo piano della casa ereditata dalla prima
moglie, al numero dieci di vicolo Venezia, Adolfo
Denci aprì uno studio fotografico che conobbe presto
un successo di clientela superiore ad ogni più rosea
aspettativa. L’aveva allestito in una sorta di
mansarda coperta da tende azzurrine; e dal quale,
oltre il vertiginoso dirupo su cui si affaccia la
“Città del Tufo”, si godeva un panorama mozzafiato
di gole fluviali, catrafossi, colline ammantate di
verde rigoglioso. Alcuni tappeti di colore
rosso-bruno, poltroncine in stile liberty e vasi di
palme costituivano il sobrio arredamento. In
quell’ambiente modesto, ma dignitoso, “Adolfino”
fece dell’amore per la fotografia la fondamentale
ragione della sua vita e l’unica fonte di reddito.
La professione scelta, al di là del mero cespite,
rappresentava per il suo spirito e la sua vocazione
artistica una specie di stato di grazia, un
privilegio esistenziale, che attraverso la camera
oscura gli consentiva di esprimere il fascino e la
poesia del microcosmo nativo, generoso di paesaggi
avvincenti e di persone semplici, ma ricche di
umanità. A prescindere dal semplice impegno di
routine, svolto con lo scrupolo che lo
contraddistingueva fra le pareti del gabinetto
fotografico, Adolfo Denci utilizzò gli strumenti e
la competenza tecnica che possedeva per compiere,
alla luce del sole, un’operazione culturale di vasto
respiro destinata a durare nel tempo e a costituire
un documento prezioso. Non c’era manifestazione
popolare che non lo vedesse all’opera: dalla festa
religiosa alla celebrazione istituzionale
collettiva, dai tradizionali lavori di campagna alle
faccende rurali o domestiche nei vicoli, nelle
cantine, nei frantoi, nelle stalle, nei lavatoi. Non
c’era attraente angolo di paese che non gli
suscitasse una sentita partecipazione e non lo
inducesse a ritrarlo. Né inaugurazione d’opera
pubblica, edificio, strada, ponte, che lo lasciasse
indifferente. E poi i luoghi (Pitigliano, Sorano,
Sovana, Manciano, Saturnia, Orbetello); le comunità,
le famiglie, i maggiorenti, gli alunni delle scuole:
tutti in posa davanti al suo obbiettivo per una foto
ricordo; e le folle stipate nelle piazze in
occasione dei raduni politici e delle solenni
ricorrenze religiose. Brulicare di corpi e di volti,
riconoscibili fino alle propaggini estreme degli
assembramenti, per un’abilità fotografica
portentosa. Nutriva la sua attività di passione
artistica ma anche di attenzione civile e sociale.
Era fortemente attratto dalle atmosfere pittoresche.
Quelle in cui l’uomo interagiva con i propri simili
negli spazi urbani e rurali, ripetendo gli
ancestrali gesti della quotidianità campagnola; e le
imprigionava nella lastra sensibile con la loro
struggente poesia per tramandarle ai posteri,
renderle perenni.
Sono immagini permeate da uno straordinario realismo
e soffuse di malinconica poesia, che ci
restituiscono un mondo perduto, facendo rivivere ai
vecchi, emozioni dimenticate e rivelando alle nuove
generazioni l’essenza più genuina e profonda della
Maremma.
Era probabilmente consapevole, l’infaticabile
“Adolfino” che in un futuro non lontano, i costumi,
le abitudini, i modi di vivere, di lavorare, di
socializzare degli uomini, non sarebbero più stati
gli stessi, perché il progresso li avrebbe mutati,
se non cancellati; e riteneva dunque che fosse
necessario serbarne una testimonianza eloquente.
Facendo tesoro degli ottimi rapporti intrattenuti
con gli umili compaesani i tempi di posa si
tramutavamo in momenti di collaborazione paziente.
Anche nei soggetti in movimento ci ha lasciato
immagini così disinvolte, limpide, realistiche, da
superare la perfezione degli scatti istantanei, a
riprova della sua maestria, grazie alla quale non è
secondo a nessuno tra i fotografi del suo tempo e
quelli più celebrati d’oggigiorno.
La sua opera è indispensabile per la migliore
comprensione delle condizioni sociali e ambientali
che caratterizzavano le valli dei fiumi Albegna e
Fiora nel primo quarantennio del Novecento. Lo è a
tal punto che saremmo costretti a lamentare una
grave perdita della memoria storica se non fossimo
in possesso della sua vasta produzione fotografica
pervenuta fino a noi grazie all’abnegazione del
pronipote Ildebrando Denci, rigoroso custode
dell’archivio fotografico di Adolfo.
Durante il bombardamento del 17 Giugno 1944
“Adolfino” rimase schiacciato sotto le macerie
dell’edificio del Monte dei Paschi di Siena centrato
in pieno e distrutto; aveva 63 anni.
Con lui se ne andò una passione artistica che chissà
quante altre splendide immagini avrebbe potuto
regalare di Pitigliano e della Maremma. |
orenzo
Adolfo Denci was born the first of five brothers in
Pitigliano on June 17th, 1881. His parents were
Giovanni and Emilia Belli. In 1905, aged twenty-four
he won the gold medal at the Universal Exposition of
Berlin as a photographer. He married a
fellow-citizen, the well-to-do Ester Orlandi, who
gave birth to his only daughter Annunziata, known as
"Nunziatina". Having become a widower, he remarried
the midwife Giuseppina Mangiò, on the 8th of January
1912. She remained at his side for the rest of his
life.
The prestigious success gained in Germany galvanized
him. His interest for photography almost became an
obsession. According to those who knew him, he had
no respite. He was always in search of local sites
and landscapes to immortalize. In 1911, he went from
place to place in the Flora and the Albegna River
valleys to provide thirty-five images for well-known
Carlo Alberto Nicolosi. They appeared in The
Maremman Mountain, edited by the Institute of
Graphic Arts of Bergamo in the series "Artistic
Italy" directed by Corrado Ricci. The unexpected
Berlin success won him above all the esteem of the
school director Evandro Baldini and of the
veterinary Gian Ugo Boscaglia. Both greatly
dedicated to the study of history, archaeology, art,
literature and science apart from their professional
occupations. They wrote books and articles, and
asked Adolfo Denci for appropriate images to
illustrate them. Thus a regular collaboration
developed between Adolfo Denci and the two
intellectuals that later became a deep friendship.
Significant are the articles that appeared on Le Vie
d'Italia during the twenties: Boscaglia wrote them
and Baldini and Denci supplied the drawings and
photographs. They were the three people that gave an
impulse and content to the cultural life of the
town; In particular Evandro Baldini. Baldini
continually drafted experimental projects at his
school, that centred on drawing, sculpturing
stuffing animals, or photography. Denci, who had a
command of music and played the violin quite well,
used to participate in Baldini's enterprising school
initiatives either as an apprentice or as the
photographer entrusted with documenting the
activities. In short "Adolfino" – as he was called
affectionately by his friends because of his short
height – was definitely a cultural activist. So much
so that his commitment to contribute lavishly to the
creative activities of Baldini and Boscaglia
enriched his cultural knowledge. It helped him to
perfection his photographic techniques, thanks to
the frequent professional sen'ices that were
required of him. Not being a fascist, he was able to
count on the protective friendship of Evandro
Baldini, a convinced supporter of the regime during
Fascism. This ensured that he was never without work
in Pitigliano and in the nearby towns: it was often
necessary to document popular support to the
activities of the Mussolinian hierarchies in public
works, culture, the arts and sport. Gymnastic and
athletic events attracted large applauding crowds
wherever they were held.
On the top floor of the house he Inherited from his
former wife, in Vicolo Venezia 10, Adolfo Denci
opened a photographic studio that was soon more
successful than ever expected. It was in an attic
furnished with light blue curtains and that
commanded - from above the giddy precipice on top of
which stands the "Tufa Town" - a breathtaking view
of the river valley and the hills covered with
luscious green. The attic had dark red carpets,
Liberty armchairs, and potted palms that provided
the sober furnishing. In such modest but dignified
surroundings, "Adolfino" transformed his love of
photography into his main interest in life and his
only source of income. This chosen profession –
aside from being a source of income – represented a
state of grace and an existential privilege for his
spirit and his vocation. Through the dark-room he
was able to express the fascination and poetry of
Pitigliano, his native microcosm, full of charming
landscapes and simple people full of humanity.
Apart from simple routine work in the rooms of his
photographic studio that was done with the care that
distinguished him, Adolfo Denci used all of his
instruments and technical ability to carry out a
vast cultural operation that was intended to last in
time and to constitute a precious document.
There was no public event that he did not attend
with his camera: from religious ceremonies to
institutional celebrations, from traditional work in
the countryside to rural or domestic activities in
the town's "vicoli", in the wine cellars, in the
stables and in the wash houses
There was not one attractive corner of the town that
did not wake his feeling of belonging and his desire
to portray It. Neither the inauguration of public
works, buildings, roads or bridges left him
indifferent nor the towns of Pitigliano, Sorano,
Sovana, Manciano, Saturnia and Orbetello. Everyone
sat in front of his lens for a photograph: social
groups, families, school pupils and people crowded
in the squares during political meetings or solemn
religious events. Swarming bodies and faces that are
all recognisable even those at the edges of a
gathering thanks to an incredible photographic
ability.
He fed his work with artistic passion and social and
civil awareness too. He was strongly attracted to
picturesque atmospheres like when people interacted
together in urban and rural environments, repeating
ancestral gestures of daily country life. He
captured on the photographic plate a moving and
poetic atmosphere that was handed on to us and thus
made everlasting.
These are images permeated with an extraordinary
realism and suffused with melancholic poetry, that
take us back to a lost world, reminding old people
of forgotten emotions and revealing to the new
generations the most genuine and deep essence of the
Maremma.
It seems that "Adolfino" was probably aware that in
the near future, traditions, habits, ways of life,
working styles and the interaction of the people
would change, because progress would change things
or even erase them. And because of this he believed
that an eloquent witnessing of them was necessary.
Treasuring the excellent relationships he had with
his local fellow-countrymen the sitting for
photographs became moments of patient collaboration.
Even in the images of movement he has left us
pictures that are so at ease, limpid, and realistic
that they are even better than perfect snapshots.
They confirm his skill, that is not second to any of
the photographers of his time or the most celebrated
nowadays.
His works are indispensable to better understand the
social and environmental situation that
characterised the valleys of the Rivers Albegna and
Flora during the first forty years of 2th Century.
So much so that we would have to lament a great loss
of historical memory if we were not to have his vast
photographic oeuvre; handed down to us thanks to his
grand-nephew Ildebrando Denci, the rigorous curator
of the photographic archive of Adolfo Denci. During
the air raid on Pitigliano on June 17th, 1944,
"Adolfino" was crushed under the rubble of the Monte
del Paschi di Siena bank building that was hit by a
bomb and totally destroyed: he was 63 years old.
With him we mourn an artistic passion that could
have left us further splendid images of Pitigliano
and the Maremma.

*
Il testo qui proposto, scritto da Alfio Cavoli, è
stato inserito nella raccolta di foto – formato
cartolina – di Adolfo Denci «Sorano inedita»,
Progetto grafico di Nicola Ventura, Graffiti, Roma,
2006
Foto di Lorenzo Adolfo Denci sono visibili on line
nell' Archivio
Storico Foto Denci 1905-1944 |